Si torna a parlare di territori e della riabilitazione e riabitazione delle aree interne e montane nella diretta Facebook promossa dal Laboratorio per la Felicità Pubblica – coordinato da Ettore Rossi -, dall’Associazione di Riabitare l’Italia e in collaborazione con Base Benevento.
Dopo il primo meeting ritorna sull’argomento Andrea Membretti, docente di Sociologia del territorio e Responsabile del servizio “Vivere e lavorare in montagna” dell’Università di Torino, nonché promotore dell’Associazione Riabitare l’Italia. La tematica, di particolare interesse per Benevento e per le sue aree interne, richiedeva un ulteriore approfondimento, spiega Ettore Rossi. Tra i nuovi esperti invitati a raccontare di esperienze e di best practice vi sono Elena Di Bella, dirigente del Settore Montagna della città metropolitana di Torino; Tessa Zaramella, referente per il programma MIP ( Mettersi In Proprio) della stessa città metropolitana di Torino. “Il territorio è un soggetto corale”, esordisce Rossi, riportando le parole di G. Becattini: esso è il luogo che custodisce il patrimonio di saperi, di culture, di esperienze che indicano la direzione a chi li abita. Scoprire la “coscienza dei luoghi” significa riscoprire risorse, tradizioni, competenze capaci di indicare la via per lo sviluppo del territorio. La bussola capace di orientare talenti e potenzialità è data dall’”ecosistema amministrativo”, definizione di Elena Di Bella: una rete di servizi a supporto, tra cui figurano servizi pubblici e privati per la consulenza e l’accompagnamento. A quanto sembra nelle aree interne e montane del torinese il connubio ha già portato risultati consistenti. Dal report di Membretti emerge la descrizione di un territorio che, dopo essere stato investito da un lungo processo di spopolamento a partire dal primo dopoguerra, vive, da almeno quindici anni, un fenomeno opposto, di neopopolamento dei contesti alpini di tutto il Piemonte. Una propensione per una vita lontana dalle metropoli spinge molti giovani tra i 18 e i 40 anni a riabitare i territori montani con un progetto di microimprenditorialità verso il quale gli aspiranti imprenditori vanno accompagnati. Di questo si occupa MIP. La referente Zaramella fornisce gli elementi fondanti del programma: si tratta di un servizio che si occupa di elaborare un business plan per gli aspiranti imprenditori, in modo gratuito, con l’affiancamento di esperti e di tutor che con fondi FSE elaborano un progetto tailor made, a misura del richiedente. In esso si individuano interessi, capacità professionali, situazioni di occupazione, di disoccupazione o di reinserimento lavorativo. Il business plan è disegnato sulle capacità del mercato, tiene conto della concorrenza, attiva strategie promozionali. Si tratta insomma, di uno studio di fattibilità coerente con gli attori e con il territorio e si avvale di una rete sinergica di soggetti pubblici e privati in grado di fare animazione territoriale e sensibilizzazione dell’aspirante abitante- imprenditore. Non tutti i progetti vanno in porto, riferisce la referente: molti restano sulla carta per essere ripresi in alcuni casi negli anni successivi. Molti non vedranno mai la luce perché per vivere in montagna c’è bisogno di una maggiore radicazione della motivazione e gli esigui fondi per l’incentivazione, da 2000 a 5000 euro, sono davvero pochi per scongiurare il fallimento. E questo, a dispetto del sistema di servizi che chiama a raccolta organismi ed enti, tra cui la Camera di Commercio, lo Sportello Unico, l’Agenzia delle Entrate, per citarne alcuni. Troppi ormai i B&B, le piccole aziende produttrici di latte di capra, le aziende agricole a conduzione familiare. Le nuove proposte vengono dalle giovani coppie, di cui almeno uno è radicato professionalmente con la città, anche in situazione di smart working e l’altro cerca un’occupazione nel territorio montano. Le nuove opportunità sono da ricercare nell’edilizia delle aree interne, nei servizi, nella cura alla persona (si veda l’infermiere di comunità, il fisioterapista a domicilio, ecc.), nella forestazione per quanto riguarda la produzione di legname. Tra successi e fallimenti, ad ogni modo, Torino, nelle parole di Di Bella, si configura nel piano strategico ormai come “città metropolitana aumentata”: una metropoli cui fanno da contorno un territorio periurbano e policentrico, contaminato da azioni sincretiche in cui risorse ed energie culturali si incrociano e si innestano rendendo i territori vitali e vivaci.
All’esperienza piemontese fanno da contraltare le storie dei territori interni del beneventano. Don Matteo Prodi, direttore della Scuola di Impegno socio-politico della Diocesi di Cerreto Sannita -Telese – S. Agata dei Goti; Lucio Ferella, sindaco di Baselice e Domenico Rossi, assessore all’Istruzione e alle Politiche Sociali di Pietrelcina. Anche i nostri territori possono vantare iniziative di successo concordano gli ospiti: la diocesi di Cerreto, Telese e S. Agata de’ Goti ha dato vita ad una fiorente cooperativa sociale di comunità “I Care” fondata da Mons. Battaglia nel 2016. Essa svolge le su attività in svariati ambiti: con un laboratorio di pasticceria, sartoria, casa d’accoglienza per donne maltrattate e per il prossimo futuro si sta pensando al catering sociale con pasti caldi per gli anziani. Adesso, spiega don Matteo, stiamo lavorando al progetto di un parco culturale ecclesiale che contempli turismo, itinerari enogastronomici e percorsi religiosi. Le difficoltà maggiori, incalza Ferella, è la fatica del sindaco di generare fiducia presso i concittadini. Creare una visione richiede spesso un’ottica temporale che va oltre il mandato del sindaco. Si dice critico, il primo cittadino rispetto ai fondi del PNRR. Meglio fare rete tra Comuni, individuare progetti condivisibili, ma anche potenzialità e competenze da compartire, istituire insomma dei “presidi di comunità”. Anche Domenico Rossi si dice scettico rispetto al PNNR, che non prevede fondi per le figure che si occupano di progettualità, perché i piccoli comuni vivono una condizione di povertà amministrativa. Anche Pietrelcina, dunque, luogo simbolo del riscatto delle piccole aree interne, dalle grandi potenzialità culturali ed economiche è investito, seppur in maniera meno drammatica, da una deriva i cui effetti principali sono quelli comuni dello spopolamento, dell’emigrazione, della rarefazione sociale e produttiva, della carenza dei servizi alle famiglie, agli anziani, ai giovani, che soffrono le limitazioni per centri di aggregazione inesistenti. In incontri precedenti il presidente della Fondazione per il Sud, Carlo Borgomeo, ebbe a dire che lo sviluppo dei territori non si realizza trascinando le imprese al sud, come è successo negli ultimi 40 anni, ma creando comunità forti. Il richiamo è alle popolazioni del territorio, alla coesione sociale a all’individuazione del genius loci. Non dunque, buone pratiche trapiantabili, ribadisce Membretti, ma una logica place sensitive, sensibile ai luoghi, non replicabile tout court.
È già diffusa la consapevolezza che la montagna e le aree interne hanno una marcia in più. È possibile alimentare il desiderio di restanza costruendo un’economia multifunzionale e una maglia organizzativa e politica che partano dalla anamnesi del territorio.