Sarà inaugurata sabato 27 aprile 2019 alle ore 16.30, a Benevento presso il Palazzo Arcivescovile-Salone Leone XIII la mostra fotografica di Giovanni Izzo che dalla Domitiana all’Africa racconta, attraverso un percorso fotografico, la storia e il dramma delle donne dell’esodo.
L’evento è coordinato da mons. Mario Iadanza, direttore dell’Ufficio per la Cultura e i Beni Culturali della Diocesi di Benevento e da don Nicola De Blasio direttore della Caritas Diocesana, con la collaborazione dell’architetto Pasquale Palmieri del Comune di Benevento, della dott.ssa Fabiana Peluso, collaboratrice Ufficio per la Cultura e i beni culturali della diocesi, e dalla dott.ssa Antonella Iannuzzi. Eseguirà la Colonna sonora Matres “le donne dell’esodo” scritta appositamente per la mostra fotografica da Enzo Cozza, l’Ensemble di fiati e percussioni composto dai professori d’orchestra dell’associazione musicale Giuseppe Verdi di Sant’Andrea del Pizzone e dagli allievi del Liceo Musicale L. da Vinci di Vairano (CE).
Giovanni Izzo è uno dei maggiori fotografi italiani: ha frequentato l’Istituto d’Arte e si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Decisivo l’incontro con Mimmo Jodice, così la passione per la fotografia diventa viscerale e totale. Ha partecipato alla Biennale di Venezia nel 1978. Si è affermato al Kodak European Gold Award.
Matres: le donne dell’esodo immagini di donne costrette a lasciare la terra originaria per povertà, per persecuzioni, per fuga dal genocidio, subendo così una rottura della continuità dell’esistenza, racconta della loro possibilità, attraverso la gravidanza e la nascita di un figlio, di ricreare se stesse e la vita, coltivando e seminando una speranza di un futuro diverso.
Negli scatti di Giovanni Izzo non c’è degrado ma poesia neorealistica, ogni foto una storia potente, ogni storia una sceneggiatura a cui sta attingendo avidamente il cinema; Giovanni sente ciò che vede e traduce in scatti quello che non sanno più vedere i professionisti dell’informazione. (cit. Francesco Fossa)
La sua fotografia è imponente, umana, delicata, compassionevole, ma allo stesso tempo non concede tregua, il fotografo interroga e tenta di raccontare l’umano. Le sue fotografie sono un coro di sogni, delusioni, rabbia, felicità, stupore, lacrime e gioia. È uno sguardo umano che non offende, ma contempla. A volte denuncia, forte, senza compromessi, dura. Ma anche e soprattutto uno sguardo che fa trasparire e traspirare la possibilità della speranza. È il fotografo che ha meglio documentato l’insediamento della comunità africana nell’entroterra campano. Izzo ritrae gli umili, gente lontana dai riflettori e racconta di fame, di dolore e di miseria, ma anche di occasioni di riscatto e giorni di festa: nascite, matrimoni, morti, abusi, dolore, gioie di questo popolo migrante che si è installato in una terra di nessuno sognandola come una nuova Africa, una terra promessa per una nuova genesi. Le luci ricordano Caravaggio, gli occhi sono illuminati di promesse, i bambini guardano il domani e possono fantasticare di aver trovato la loro terra, la primigenia è il corpo della madre, che è la stessa di tutti. Le braccia della madre, poi, mantengono il corpo del neonato in uno stato di unità e solidità tale da consentirgli di sentirsi supportato dal corpo materno, sicuro per il contatto stretto con la pelle della mamma e delle persone del suo ambiente che lo circondano. Izzo racconta diversi tipi di nascita: il ritrovamento dell’identità di queste donne in fuga attraverso la forma creativa primaria, il dono dei bambini che, pensati e desiderati come testimonianza di un futuro, custodiscono dentro di se anche un passato lontano, la nuova possibilità di abitare e respirare la terra dell’esodo. Queste foto ricordano l’iconografia della natività ove la nascita del bambino redime tutta l’umanità e quelle donne dopo viaggi e percorsi di dolore, ritrovano una maestosità nello stesso tempo semplice ma assoluta nel loro esplicare la primaria creatività: la bellezza assoluta. Una speranza di cambiamento, di unione di popoli e culture, di popoli che sono stati e sono migranti, un tempo gli italiani ora gli africani. (cit. Matteo De Simone)